Anche il #latino è #heavy #metal

di Marco Passarotti (La Lettura, 10/6/18)

Sarà anche il genere musicale brutto, sporco e cattivo per eccellenza, ma l’heavy metal è così tanto attraente da suscitare l’interesse del mondo scientifico. Un interesse crescente, se è vero che negli anni si è addirittura costituito un settore di ricerca, variegato e al contempo identificato da precisi confini, noto come «Metal Studies». E come per molti altri settori, anche in questo caso esiste una Società scientifica di riferimento (la International Society for Metal Music Studies) e una conferenza annuale (la Modern Heavy Metal Conference), che quest’anno si tiene a Helsinki, in Finlandia, dal 27 giugno al primo luglio. Non può mancare una rivista specializzata («Metal Music Studies») che, forte di un ampio comitato scientifico internazionale, dal 2015 pubblica regolarmente tre uscite all’anno. Scorrendo le pagine della rivista, ci si rende conto della varietà degli interessi che gli studiosi nutrono nei confronti dell’heavy metal. Oltre a ricerche di ambito psicologico e sociologico, infatti, si trovano indagini storiche (ad esempio, dedicate alla scena heavy metal al di là della cortina di ferro), antropologiche, mitologiche, musicologiche e, non ultime, linguistiche.

Proprio lo studio linguistico dei testi heavy metal ha recentemente visto un notevole incremento. Nel 2016 sono stati pubblicati sul blog «Degenerate State» i risultati di un’analisi computazionale dei testi di più di 220 mila canzoni di circa 7.300 band heavy metal.

L’analisi è stata condotta con diversi metodi di trattamento automatico del linguaggio, uno dei quali si concentra sull’individuazione delle parole che maggiormente caratterizzano i testi heavy metal rispetto a quelli di altri ambiti. Il risultato dice che le cinque «parole più metalliche» sono, nell’ordine, burn (bruciare), cries (grida, pianti), veins (vene), eternity (eternità) e breathe (respirare). Dunque, i testi heavy metal sembrano ondeggiare tra manifestazioni di dolore, senso di rivalsa e aspirazione di eternità.

Scorrendo la classifica delle parole ci si imbatte poi nella spiritualità, benigna e maligna: beast (bestia) e demons (demoni) occupano rispettivamente la sesta e l’ottava posizione, mentre gods (dei) e pray (pregare) la quindicesima e la sedicesima. Anche la centralità dell’anima, l’annichilimento e la sofferenza sono ben rappresentati, visto che le posizioni dalla nona all’undicesima sono conquistate da ashes (polvere), soul (anima) e sorrow (tristezza).

Confrontando i testi di migliaia di band, lo studio è stato anche in grado di identificare aree lessicali che caratterizzano specifici sottogeneri dell’heavy metal o insiemi di band tra loro molto simili a livello lirico. Ecco dunque che i testi di Ozzy Osbourne e quelli dei Black Sabbath (ex band di Ozzy) risultano molto vicini, così come accade per quelli dei Dio e dei Rainbow (band in cui militò per alcuni anni proprio Ronnie James Dio).

L’indagine non è capziosa, perché l’heavy metal è frammentato in una miriade di sottogeneri, che l’analisi computazionale dimostra essere chiaramente identificabili a livello lessicale. I risultati della ricerca, infatti, riscontrano un notevole grado di sovrapponibilità tra band che condividono ampie porzioni di lessico usato nei propri testi e il sottogenere che esse suonano. Un esperimento, in particolare, fa uso di un classificatore automatico il cui compito consiste nell’associare a una band un testo dato in input: ebbene, le band che il classificatore più frequentemente confonde tendono ad appartenere a un medesimo sottogenere, dimostrandone dunque l’omogeneità lessicale.

Ma l’interesse per la lingua dell’heavy metal non si limita all’inglese. Nel settembre di quest’anno, presso il prestigioso University College of London, si terrà una conferenza dal titolo Multilingual Metal: Sociocultural, Linguistic and Literary Perspectives on Heavy Metal Lyrics. L’evento sarà dedicato a testi heavy metal in lingue diverse dall’inglese. Infatti, uno dei tratti caratterizzanti taluni sottogeneri dell’heavy metal, come ad esempio il folk, il viking e il pagan metal, è proprio il ricorso a testi scritti nella lingua madre della band. A farla da padrone in questo campo sono i gruppi scandinavi, orgogliosi dei propri idiomi quali portatori di quei valori tradizionali del paganesimo nordico spesso difesi dalle band provenienti da quelle terre, oggi fertilissime di heavy metal.

I testi non sono scritti solo in lingue vive e i ricercatori non possono trascurarlo. Ad esempio, presso il centro di linguistica computazionale Circse dell’Università Cattolica di Milano è in corso una ricerca sull’uso della lingua latina nei testi heavy metal. I ricercatori della Cattolica hanno raccolto un corpus che include i testi completamente o parzialmente in latino di un centinaio di canzoni di altrettante band provenienti da 26 Paesi diversi. Ancora una volta, scorrere la lista delle parole più frequenti aiuta a comprendere di cosa parlino questi testi. Al netto delle cosiddette parole funzionali (come preposizioni, congiunzioni e alcuni avverbi), che occorrono in ogni tipo di testo, le parole più frequenti rientrano nell’area della spiritualità religiosa: deus, dominus, spiritus e sanctus.

Il tema religioso, spesso declinato in modalità anticristiana, si affianca a quello della morte, come è tipico del black metal, che non solo è uno dei sottogeneri più violenti dell’heavy metal ma anche quello che più di ogni altro ricorre all’uso del latino nei testi, quale veicolo affascinante di una ritualità arcaica.

La ricerca si concentra non solo sul lessico latino dei testi heavy metal, ma anche sulla loro provenienza. Applicando uno strumento in grado di identificare automaticamente le citazioni presenti in un testo, è possibile tracciare il percorso creativo degli autori, scoprendo quali riferimenti, più o meno letterari, abbiano usato in fase compositiva. Il ricorso a testi preconfezionati, spesso solo parzialmente modificati, rappresenta infatti un supporto essenziale a chi scrive il testo, proprio in quanto non esiste autore che sia parlante nativo della lingua latina. Ecco dunque che i norvegesi Keep of Kalessin confezionano un testo del 2003 accostando tra loro una serie di motti latini e concludendolo con l’incipit di una famosa Ode di Orazio: Exegi monumentum aere perennius («Ho costruito un monumento più duraturo del bronzo»). Ma, come prevedibile, sono i testi sacri ad andare per la maggiore. Ad esempio, gli svedesi Marduk citano il Qohelet, un libro dell’Antico Testamento; i loro conterranei Funeral Mist riutilizzano il Miserere; mentre gli austriaci Abigor scimmiottano il Credo.

I testi originali in latino vengono spesso rielaborati in chiave antireligiosa, satanista e occulta, celebrando temi come la violenza, il dolore e, su tutti, la morte. Questo frequente ricorso non solo a contenuti ma anche a un’iconografia oscura e aggressiva è tipico del mondo heavy metal: eppure è ancora la ricerca scientifica a dimostrare che esso non deve spaventare. Risale, infatti, al 1996 Metalheads. Heavy Metal Music and Adolescent Alienation, un volume dello psicologo statunitense Jeffrey Jensen Arnett, il quale, concentrandosi sugli effetti provocati dall’heavy metal, constata come, anziché fomentare la rabbia, il genere sembri favorire la calma nell’ascoltatore. Più della metà dei metalhead (i metallari all’americana) intervistati dall’autore dichiara, infatti, di provare, grazie all’heavy metal, una sorta di catarsi delle proprie negatività, quasi che la violenza della musica e dei temi trattati riesca a trasportare queste ultime fuori dal fruitore, che così ne rimane privo.

L’heavy metal, musica così spesso ignorantemente considerata ignorante, si configura dunque come una sorta di tragedia moderna. Nella sua Poetica, Aristotele parla degli effetti che assistere a una tragedia produce nel pubblico. Essere spettatori dei drammi di Edipo o di Antigone crea pietà (éleos) per quanto rappresentato sulla scena e, quale effetto dell’immedesimazione, paura (phóbos) che gli stessi eventi tragici possano accadere a noi, che ad essi assistiamo dalla platea: e ciò purifica, catartizza appunto, l’uomo, che si libera da questi sentimenti negativi, parte della sua vita.

Proprio questo sarebbe uno degli effetti dell’heavy metal secondo Jensen Arnett, la tesi del quale è stata recentemente confermata dai risultati di uno studio dell’Università di Warwick che, nello specifico, mette in connessione l’ascolto della musica heavy metal quale via d’uscita dalla negatività con le abilità scolastiche degli studenti. Il risultato della ricerca dice che, tra gli studenti più dotati, molti ricorrono all’heavy metal per trovare un sollievo dalla maggiore pressione che subiscono, proprio in virtù, o a causa, dei propri maggiori talenti.

Con quasi mezzo secolo di vita (il primo disco dei Black Sabbath risale al 1970) e milioni di fan in tutto il mondo che coprono almeno tre generazioni, con iconografie e ritualità solo apparentemente orrorifiche ma in vero pacificatrici, con un ricchissimo sottobosco di band che continuano a sudare nelle sale prove di periferia, l’heavy metal rappresenta uno straordinario campo di esplorazione multidisciplinare, che il mondo della ricerca dimostra di non ignorare.

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