#Giocare è davvero un bisogno primario

La «mobilitazione» dei #neurotrasmettitori cerebrali durante l’ #attività #ludica ha forti somiglianze con quella che si realizza durante azioni fondamentali per la sopravvivenza, come l’alimentazione

Giocare è fondamentale per lo #sviluppo #psicosociale dei #giovani mammiferi, esseri #umani compresi.

di Danilo Di Diodoro (Corriere Salute 26/6/16)

È un’abilità sostenuta da un complesso meccanismo neurobiologico. Ad esempio, mentre si gioca, specie se in compagnia, c’è un incremento nella produzione di ossitocina , un ormone che aumenta socialità ed empatia.

Il gioco sa anche distrarre dai propri pensieri. Secondo Anne Stewart e collaboratori, della James Madison University di Seattle, è quello che accade anche quando ci si lascia ingannare dai prestigiatori, che sanno creare un’atmosfera giocosa e deviare l’attenzione degli spettatori.

Qualcosa di simile, afferma la ricercatrice americana, fanno gli psicoterapeuti della play therapy (terapia del gioco), utilizzata soprattutto con i bambini, sia a scopo diagnostico, sia terapeutico.

Del resto far giocare bambini sottoposti a un intervento chirurgico riduce il dolore.

Lo dimostra uno studio, pubblicato sulla rivista Pain Management Nursing , dalla dottoressa Ana Ullàn dell’Università di Salamanca, in Spagna, durante il quale è stato misurato il dolore in due gruppi di bambini operati, uno coinvolto in un programma di gioco, l’altro lasciato alle normali cure. In tre diverse misurazioni, il livello di dolore percepito dai bambini entrati nel programma di gioco risultava inferiore a quello del gruppo di controllo.

Una forma di gioco molto importante dal punto di vista psicologico è il gioco di finzione, quello del “facciamo finta che…” per il coinvolgimento che comporta delle strutture cognitive, e perché rompe i confini esistenti di norma tra immaginazione e realtà.

Quando il gioco comporta la trasformazione di uno stecco in una spada, il bambino mette in mostra abilità simboliche.

«Questo gioco è associato allo sviluppo del linguaggio e delle emozioni» dicono Jiayao Li e i suoi collaboratori del Department of Human Development and Family Studies dell’University of North Carolina, autori di un articolo pubblicato sull’ Early Childhood Education Journal . «Diversi studi di psicologia mostrano anche una relazione positiva tra questo tipo di gioco, la creatività, il possesso di abilità nell’affrontare varie situazioni». E questo modo di giocare diventa più frequente quando i bambini giocano all’aperto, dove ci sono più occasioni per inventare. Ma c’è “un’area cerebrale del gioco”? Quello che si sa è che dal punto di vista psicobiologico, per riuscire a giocare è indispensabile il buon funzionamento di un piccolo gruppo di cellule situate nelle profondità del cervello, che formano il nucleo accumbens . Un avanzamento nelle conoscenze della psicobiologia del gioco viene da uno studio pubblicato sulla rivista Neuropsychopharmacology da ricercatori italiani e olandesi, coordinato da Viviana Trezza del Dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre.

Lo studio è stato realizzato su piccoli ratti, caratterizzati da propensione al gioco sociale. «Abbiamo scoperto che quando nel nucleo accumbens sono stimolati i recettori della dopamina, sostanza liberata nel cervello in condizioni di piacere, la propensione al gioco tende ad aumentare» spiega la dottoressa Trezza. «Evidentemente c’è un incremento nel piacere associato alla socializzazione, ma si può anche ipotizzare che con questa scoperta il gioco entri a far parte delle necessità primordiali elaborate nel nucleo accumbens, come alimentarsi o riprodursi».

Può apparire azzardato il salto dall’osservazione sui ratti a conclusioni per gli esseri umani… «In realtà esistono studi di Risonanza magnetica funzionale che hanno dimostrato come l’attività del nucleo accumbens aumenti quando siamo coinvolti in occupazioni piacevoli» continua Trezza. «Quindi, è logico ipotizzare che l’attività del nucleo accumbens si incrementi anche quando un bambino gioca con i coetanei». Se il buon funzionamento del nucleo accumbens è indispensabile per lo sviluppo delle abilità sociali attraverso il gioco, questa struttura potrebbe essere coinvolta in patologie denotate da difficoltà proprio nell’area della socialità, come l’autismo. E nei bambini autistici spesso c’è una carenza nei giochi di finzione. Non riescono a inventare, mancano di immaginazione.

Spiega la dottoressa Paola Visconti della Neuropsichiatria Infantile, Centro per i disturbi dello spettro autistico, IRCCS-Istituto Scienze Neurologiche dell’Azienda Usl di Bologna: «Messi di fronte a giochi che attirano l’attenzione dei coetanei, questi bambini se ne disinteressano o li utilizzano in maniera stereotipata. L’incapacità nel gioco esprime non una mancanza di emozioni collegate agli oggetti, ma una specificità e ristrettezza di interessi. È una condizione causata dalla conformazione particolare delle loro strutture cerebrali acquisita per via genetica. Si parla attualmente di una ridotta connettività delle vie lunghe di trasmissione che collegano le regioni cerebrali anteriori con quelle posteriori e rendono così impossibile l’integrazione di sensazioni visive con quelle uditive e tattili, il che comporterebbe anche l’isolamento delle regioni temporali deputate al linguaggio.

«Al contrario — conclude Visconti — l’iperconnettività delle vie brevi, un eccesso di circuiti nervosi, potrebbe essere alla base della loro attenzione ai dettagli, quindi di un eccesso di stimoli sensoriali che li rende “sordi e ciechi” al nostro mondo sociale ed emotivo».

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