Giù la maschera, conosci te stesso

Da Sant’Agostino a Erasmo, da Freud a Pirandello

La sfida di guardarsi dentro, senza condizionamenti

di Armano Torno (Corriere della Sera 25/02/14)

«Un’esortazione greca, probabilmente di origine religiosa e utilizzata soprattutto dai filosofi, afferma: «Conosci te stesso». Non pochi studiosi indicano la sua presenza nel tempio di Apollo a Delfi, quasi che il dio invitasse gli uomini a «riconoscere la propria limitatezza e finitezza». Così, almeno, scrive Giovanni Reale nel saggio Socrate. Alla scoperta della sapienza umana (Rizzoli, 2007). 

«Conosci te stesso» diventò quasi una cupa solfa rimbombante in ogni epoca. Eccola evocata con parole analoghe da Oceano nel Prometeo incatenato di Eschilo, si annida con la sua sfida enigmatica tra le preoccupazioni di Kant o nelle radici dell’esistenzialismo, in Kierkegaard, che la riprende appunto da Socrate; Porfirio (morto a Roma nel 305) dedica alla locuzione addirittura un’opera, andata perduta. E Sant’Agostino, il più grande dei Padri della Chiesa, se ne appropria magistralmente per farne un caposaldo dello spirito nel De vera religione : «Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas»; ovvero: «Non andare fuori, rientra in te stesso; nell’interiorità dell’uomo abita la verità». 

Tutte queste considerazioni le offriamo a coloro che si chiedono sovente a «cosa serve» la filosofia. Domanda infelice, ci permettiamo di aggiungere, parente alla larga della disgraziata sentenza «Con la cultura non si mangia». Lo facciamo per un semplice motivo: essa aiuta almeno a porsi alcune questioni importanti e porta soccorso alla nostra anima con qualche risposta. Oppure a essere se stessi. Uno degli esempi più illustri ci viene dal mondo antico, dal comportamento di Diogene di Sinope, noto come il Cinico o «il Socrate pazzo», che viveva nella miseria e rifiutava agi e vantaggi. Il suo atteggiamento dinanzi all’uomo più potente del mondo divenne mitico. L’episodio è celebre, ma vale sempre la pena rileggerlo; si trova descritto nella Vita di Alessandro Magno lasciataci da Plutarco: «Il re in persona andò da lui e lo trovò che stava disteso al sole. Al giungere di tanti uomini egli si levò un poco a sedere e guardò fisso Alessandro. Questi lo salutò e rivolse a Diogene la parola chiedendogli se aveva bisogno di qualcosa; e quello: “Scostati un poco dal sole”. A tale frase si dice che Alessandro fu così colpito e talmente ammirò la grandezza d’animo di quell’uomo, che pure lo disprezzava, che mentre i compagni presenti, al ritorno, deridevano il filosofo e lo schernivano, disse: “Se non fossi Alessandro, vorrei essere Diogene”». 

La filosofia, per dirla in soldoni, può aiutare l’intelligenza a porre domande (e a trovare quelle risposte di cui abbiamo bisogno), ma soprattutto aiuta a conoscere se stessi; o quanto meno a scoprire la maschera che indossiamo ogni giorno per recitare il nostro ruolo nel mondo. Luigi Pirandello lo capì meglio di ogni altro drammaturgo o letterato, per taluni aspetti fu più esplicito di Freud che aveva intuito il problema: ogni uomo si trova nascosto dietro una maschera imposta dalla società, dai cosiddetti valori che la caratterizzano o da quelle situazioni che oggi chiamiamo tendenze. E siccome la maschera cela le nostre vere sembianze anche dinanzi a uno specchio, l’uomo non riuscirà a conoscere, con il passare del tempo e dell’uso, chi è e cosa sta facendo. Recita, crede di essere altro; anzi diventa un altro rispetto a quello che dovrebbe o potrebbe essere, falsificando la propria natura e illudendosi di controllare l’imbroglio di cui è artefice e, al tempo stesso, vittima. Bene: l’esercizio della filosofia reca un po’ di soccorso, soprattutto se uno di noi interroga quegli autori che hanno riflettuto sul comportamento e sul fine della vita. 

Già, la maschera. Anch’essa è di origine sacrale, soprattutto quando appartiene al genere antropomorfo. Così, almeno, si direbbe per quelle trovate nel santuario spartano di Artemide Orthia o dei Cabiri di Tebe. Dioniso, d’altra parte, è il dio della maschera oltre che il signore della forza vitale, dell’istinto, dell’ebbrezza e dell’estasi. I latini antichi la chiamavano persona e soltanto nel medioevo divenne mascha, quasi si fosse colta già nella Roma dei Cesari la singolare corrispondenza. Se ne accorse Arthur Schopenhauer nei suoi Parerga e paralipomena : «L’uso, comune a tutte le lingue europee, della parola persona per indicare l’individuo umano è, senza saperlo, pertinente: persona significa, infatti, la maschera di un attore, e in verità nessuno si fa vedere com’è; ognuno, invece, porta una maschera e recita una parte». Ma la filosofia, almeno in alcuni casi e grazie a non pochi autori, aiuta a capire cosa indossiamo e quel che stiamo facendo. Erasmo da Rotterdam nel suo Elogio della follia descrive senza sconti quanto succede nel mondo e cosa sia un’esistenza: «Tutta la vita umana non è che una commedia, in cui ognuno recita con una maschera diversa, e continua nella parte, finché il gran direttore di scena gli fa lasciare il palcoscenico». 

Non è dunque facile conoscere se stessi, anzi è forse la ricerca più difficile che potremmo tentare. Ma, come si suol dire, ne vale la pena. Anche se uno spirito straordinario come Oscar Wilde ironizzava ed era convinto — così almeno scrisse ne Il critico come artista del 1889 — che l’uomo non è se stesso quando parla cercando di essere sincero e soltanto grazie a una maschera riesce a proferire un po’ di verità. L’artificio lo protegge perché le convenzioni e le troppe recite lo hanno rovinato. Una fulminante battuta del celebre letterato si ricorda a proposito di Sir Max Beerbohm e porta alle estreme conseguenze quel «Conosci te stesso» che meditò insieme ai classici greci al Magdalen College di Oxford: «Chissà se, quando è solo, si toglie il volto per mostrare la maschera». 

La filosofia può aiutare a sorridere meglio e con cognizione di causa dopo una battuta di questo genere. Anche se i programmi scolastici che dovrebbero aiutare gli studenti a impararla si stanno restringendo, anche se alcune facoltà se ne liberano per sostituirla con qualcosa che la nuova pedagogia considera più interessante e «utile», anche se i pensatori degni di questo nome scarseggiano più dei politici e dei mistici la filosofia non va messa nei bilanci della cultura come un avanzo del passato. Potremmo credere ancora oggi a quanto scrisse Montaigne nei suoi magnifici Saggi: «Abbiamo una ben dolce medicina nella filosofia, perché delle altre si prova piacere soltanto dopo la guarigione, mentre questa piace e guarisce insieme». 

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