I primi 20 anni di #Google

Massimo Gaggi (Corriere 4/9/18)

Volevano cambiare il mondo e ci sono riusciti. Ma nemmeno loro – Larry Page e Sergey Brin – immaginavano che in vent’anni avrebbero trasformato radicalmente la vita e la cultura di tutti noi: come studiamo, ragioniamo, facciamo funzionare la nostra intelligenza e i meccanismi dell’attenzione. Invece il motore di ricerca della società, Google, da loro fondata il 4 settembre del 1998, ha cambiato tutto: dalla scuola all’informazione, fino al modo di viaggiare e di orientarsi. Un’onda d’urto che non si è mai fermata e ora investe aree sempre più vaste, dalla politica alla medicina.

Grandi innovazioni e grandi inconvenienti, com’è sempre accaduto con le onde di progresso della storia umana. Se la lavatrice ha cambiato la vita familiare e aperto il mercato del lavoro alle donne, gli algoritmi dell’era di Internet – prima quelli rudimentali di Explorer e AltaVista, poi quello di Page e Brin, capace di scandagliare l’intero web ed estrarre contenuti dando loro una gerarchia, il ranking – hanno trasformato la vita in modo più profondo: dal mondo del lavoro che ha visto nascere nuove professioni, ma ne ha perse tante altre come quella degli agenti di viaggio, al rapporto tra genitori e figli, fino alla televisione, alle prese con una rivoluzione iniziata con la nascita di YouTube. Anch’essa una creatura di Google come il sistema di posta elettronica Gmail, la piattaforma Android che fa girare gran parte degli smartphone del mondo (oltre due miliardi), Chrome e GoogleMaps che ci dà il percorso più conveniente per ogni destinazione, ma ci fa anche perdere il senso dell’orientamento: smarriti se si scarica la batteria del cellulare.

Le criticheSono gli inconvenienti delle rivoluzioni tecnologiche. Nel decennale di Google, estate 2008, fece molto rumore un saggio (poi trasformato in libro) pubblicato da The Atlantic nel quale uno studioso, Nicholas Carr, si chiedeva, fin dal titolo «se Google ci rende stupidi». L’accusa, in realtà estesa all’intero ecosistema di Internet, era quella di aver creato – tra la promessa di mettere tutta la conoscenza del mondo alla portata di un clic e le continue spinte a interrompere la lettura di un testo per saltare a una pubblicità, a un messaggio in arrivo o a un altro testo – un sistema che ci porta a non sfruttare più appieno la nostra intelligenza. Superficialità, multitasking, difficoltà ad approfondire, a leggere lunghi articoli o libri. Ma, soprattutto, la tendenza delle nuove generazioni a non studiare più per assimilare nozioni che danno una visione del mondo, convinte che ormai basti sapere come e dove trovare l’informazione quando serve. Cambiamenti in parte fisiologici, inevitabili quando il progresso offre nuovi strumenti: è accaduto fin da quando la scrittura (poi toccò al libro) venne condannata dai padri della cultura trasmessa oralmente come novità destinata a distruggere la capacità dell’uomo di memorizzare tutte le nozioni essenziali della vita.

Il semi-monopolioMa nel caso di Google questo processo, iniziato artigianalmente in un garage da due giovani geni dagli intenti filantropici che l’avevano sintetizzato nello slogan aziendale Don’t be evil, anno dopo anno è stato industrializzato fino a produrre un semimonopolio dipendente dalla rude logica finanziaria di Wall Street (con relative accuse di elusione fiscale e multe Ue per abuso di posizione dominante). Grandi dimensioni, grandi responsabilità: è inevitabile. Sono storie dei giorni nostri: i giganti della Silicon Valley, fin qui non regolamentati, sono considerati i principali responsabili dell’aumento delle diseguaglianze economiche, almeno in America, ma, soprattutto, sono accusati di aver gestito con leggerezza la centralità conquistata (soprattutto da Google e Facebook) nel mondo dell’informazione con l’acquisizione di gran parte del mercato pubblicitario e il conseguente indebolimento della stampa tradizionale. Così una delle società di maggior successo al mondo (Google vale oltre 850 miliardi di dollari, superata solo da Apple e Amazon) oggi viene accusata da Trump di falsare i risultati delle ricerche a sfavore dei conservatori e domani verrà messa sotto processo (con Facebook e Twitter) dal Congresso che chiederà garanzie sulla blindatura della rete da interferenze esterne nel processo elettorale del voto di mid term di novembre.

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