Il #contratto #etico #prof-allievi. «Così li trattiamo da adulti»

Gian Maria Collicelli (Corriere 19/9/18)

VICENZA Ci sono le firme in calce e la doppia copia, c’è la spiegazione punto per punto di ogni articolo e l’impegno formale a rispettarlo. È un contratto vero e proprio, solo che al posto del dipendente c’è lo studente e nel ruolo del datore di lavoro l’insegnante.

Succede a Vicenza, al liceo Fogazzaro, dove gli alunni di una classe del terzo anno hanno firmato un contratto etico che li impegna, fra le altre cose, a «mantenere un clima favorevole all’apprendimento», ad «accogliere le diversità dei compagni», a «fare squadra» ed evitare episodi di bullismo. Qualche volta anche a «fare silenzio in classe».

Lo hanno fatto col sorriso, e pure con qualche perplessità quando il testo entra nel merito di quel che indossano la mattina – nodo sempre cruciale per degli adolescenti – vietando loro «pantaloni corti, strappati in modo diffuso, scollature eccessive o gonne troppo corte». «Perché non possiamo metterci i pantaloncini?» hanno chiesto, interessati. È questo l’aspetto che ha fatto traballare gli studenti del liceo vicentino, sorpresi dallo strano documento recapitato nel corso della prima lezione dal professor Simone Ariot, insegnante di Italiano e Storia.

Il contratto, in quattordici articoli, è arrivato sui banchi di un gruppo che il professore vedeva per la prima volta, frutto dell’unione di studenti da classi diverse e con i quali, dunque, ha voluto mettere le cose in chiaro fin da subito, ponendo la scuola su un livello di condivisione delle norme con chi la abita ogni giorno: «Ho pensato – spiega – che discutere con loro le regole di comportamento potesse aiutarli a sentirsi parte di una squadra».

Senza soffermarsi troppo su norme e diktat, il documento punta in modo particolare sull’aspetto etico. Ma è pur sempre un contratto. E dunque se ne chiede il rispetto, pena «una netta modulazione del rapporto didattico-educativo e conseguenti azioni da parte dell’insegnante». Poi, detta le norme anche alla controparte: e quindi anche lo stesso professore è tenuto al rispetto dei medesimi principi elencati.

Gli alunni lo hanno accolto con «piacevole sorpresa», anche quando il prof ha risposto all’unica domanda arrivata sul dress code da tenere in classe: «Questo vincolo serve a distinguere uno spazio di svago da un contesto formativo qual è la scuola», ha replicato l’insegnante. Risultato: i ragazzi hanno portato a casa il documento, ci hanno riflettuto e il giorno dopo l’hanno riconsegnato (tutti) controfirmato. «Nessuno ha voluto dirmi altro – spiega Ariot – ma ho letto nei loro occhi la soddisfazione di essere stati presi in considerazione, di essersi sentiti trattati da adulti e questo era il messaggio cruciale». E pazienza se ieri, a qualche giorno di distanza, qualcuno si è presentato in shorts in classe: «Ho capito che se ne erano dimenticati – osserva l’insegnante —. Ma questa è la parte meno importante. Quel che mi preme è responsabilizzarli e far loro capire che della scuola e degli adulti ci si può fidare».

La preside del Fogazzaro, Maria Rosa Puleo, non esclude di replicare l’iniziativa: «In fondo sono norme già presenti nel regolamento scolastico – osserva – ma ribadirle, specie in una classe non ancora coesa, costringe lo studente a riflettere su ciascuna di esse».

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