«Noi #genitori troppo #invadenti Così i ragazzi non maturano»

Matteo Bussola: la scuola non è un servizio dove il cliente ha sempre ragione

di Valentina Santarpia (Corriere 3/11/17)

Se qualcuno storce il naso quando si parla di inclusione, formandosi in testa il quadro complicato di ragazzini disturbati e insegnanti di sostegno difficilmente allineati, è sulla cattiva strada. Lo dimostrano premesse, appuntamenti e ospiti della tre giorni di Rimini, dove si confrontano i protagonisti del mondo della scuola, educatori, insegnanti, esperti, neuropsichiatri, pedagogisti e genitori. Perché, non sempre consapevolmente, sono loro che stanno contribuendo sempre più a determinare l’evoluzione dei percorsi formativi dei nostri figli.

«E non sempre con buoni risultati», esordisce Matteo Bussola, autore di Sono puri i loro sogni – Lettera a noi genitori sulla scuola , un testo decisamente critico sul ruolo dei padri e delle madri di oggi che, forti dei gruppi WhatsApp, invadono la vita dei propri figli. «Lo spunto è nato dal post su Facebook di una mia amica insegnante, sospesa dall’incarico perché accusata ingiustamente di aver picchiato un alunno. In realtà le cose erano andate diversamente, lei aveva rimproverato il bambino per un episodio di bullismo, ma tutti avevano creduto alla versione fantasiosa del bambino, e i genitori erano andati direttamente a parlarne col dirigente scolastico per protestare, senza neanche provare a interpellarla. Ho capito che noi genitori siamo cambiati moltissimo: se io prendevo un brutto voto, i miei mi davano il resto a casa, come si suol dire. Se succede adesso, si scatena un dibattito. La scuola è diventata un servizio dove il cliente ha sempre ragione, abbiamo dimenticato che le crisi, gli ostacoli, le difficoltà, fanno crescere e forgiano la personalità, fanno crescere individui autonomi e responsabili, mentre noi non accettiamo più il fallimento come parte integrante della nostra vita. Anzi, siamo autolesionisti: come degli automobilisti che vedono la luce rossa dell’olio ma invece di fermarsi a rabboccarlo, nascondono la spia allo sguardo».

E Bussola non parla dal pulpito, anzi: lui si «sporca» le mani tutti i giorni, con le sue tre figlie, di taglia s-m-l, come scherza lui, ovvero di 4, 6 e 10 anni, delle quali vive la quotidianità e che quindi gli hanno permesso di sbagliare ripetutamente, prima di «ravvedersi». «Confermo, ho fatto tutti gli errori che racconto nel mio libro perché insieme a mia moglie sono un papà molto presente. Ma il confine tra presenza e invadenza è sottilissimo. Ci facciamo carico delle cose dei nostri figli come se fosse la nostra vita, abbiamo la tentazione di metterci sempre davanti per proteggerli, quando invece dovremmo porci un passo indietro per sostenerli se cadono». Roba da ambienti medio-alti, che non riguarda le persone più umili? «No, è un discorso generale — dice Bussola —. Certo, i genitori istruiti hanno anche un po’ di presunzione in più. Ma un premio Nobel non sarà mai migliore di un insegnante, perché non è la cultura a fare un buon maestro, ma è la sua capacità di entrare in empatia con lo studente e tirargli fuori il meglio».

Parole sante per Carlo Scataglini, insegnante di sostegno da 30 anni all’Aquila, esperto in didattica inclusiva, autore di libri sull’argomento, come Il sostegno è un caos calmo – E io non cambio mestiere (Erickson, 2012): «C’è una partecipazione drogata delle famiglie alla scuola. Ho assistito a scene assurde come genitori che contestavano i compiti dei propri figli. Invece è fondamentale che ciascuno abbia le proprie responsabilità: il motivo per cui si vedono tanti ragazzi indolenti e passivi nelle aule è proprio questo, la tendenza a non attribuire a ciascuno il proprio ruolo. E la tendenza a delegare: all’esperto della dispersione scolastica, al referente sul bullismo, all’insegnante di sostegno, e così via. Invece dobbiamo ricordarci, di fronte ad una classe di 25 persone, che ciascuno è una diversità, e che solo con la collaborazione di tutti riusciamo a trarre il meglio dallo studente. Persino con ragazzi difficili, come uno a cui sono particolarmente affezionato: affetto da una sindrome genetica grave, con serie insufficienze mentali, è riuscito grazie a una serie di strategie didattiche a entrare in classe, collaborare con gli altri. Per me è stato un successo».

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