Paola Mastrocola

#Eros dai molti volti

L’ #amore prima di noi si presenta come il racconto di ventotto storie amorose della #mitologia greca. Coppie di dèi e dee e di mortali combinate e travolte da Eros, il fanciullo dispettoso a cui non resiste nessuno e che, unico essere in cielo e in terra, non teme nemmeno i fulmini di #Zeus, come ci raccontava #Virgilio.

di Carlo Carena (Il Sole Domenica 11/12/16)

L’amore prima di noi si presenta come il racconto di ventotto storie amorose della mitologia greca. Coppie di dèi e dee e di mortali combinate e travolte da Eros, il fanciullo dispettoso a cui non resiste nessuno e che, unico essere in cielo e in terra, non teme nemmeno i fulmini di Zeus, come ci raccontava Virgilio.

Ma sotto questa veste, in questa saga di Eros dai molti volti Paola Mastrocola con la sana vena didattica che ispira più o meno esplicitamente ogni suo scritto e lo giustifica anzitutto ai suoi occhi, ci spiega cos’è mai questo amore, i suoi drammi, le elegie e più spesso le tragedie; i destini di mortali e immortali consacrati nelle saghe di Troia o degli Argonauti, di Creta e del Peloponneso, dell’Olimpo e dell’Ade. Ma su questi cammini l’Autrice, come Ippomene sparge sulla pista i pomi per arrestare la corsa di Atalanta, così inserisce sistematicamente i suoi pensieri per farci riflettere e capire: Afrodite ama chi combatte le battaglie perse, annota per quei due giovani corridori – l’amore è rapimento, nella storia di Ade che rapisce Persefone e la porta negli Inferi perché «anche il dio dei morti voleva amare» – Dafne non ha capito che «l’amore è incontrare un dio» – è contrapporsi al pensiero degli altri, credere soltanto alla verità di quello che tu provi, detto per Psiche e Eros – il piacere, un vento che domina ogni nervo, ogni vena, per Pasifae innamorata del Minotauro – chi ne viene colpito non ha più volere, una forza estrema lo governa, ignota, e non conosciamo il cuore di chi amiamo, per Fedra – crediamo di essere noi a innamorarci, invece siamo portati, come il vento fa con le vele per Medea – l’amore di colpo ci sposta la vita, per Arianna – l’amore, questa luce così cieca, per Cassandra.

E alla fine, anzi già all’inizio del libro, fra tutto ciò, il quesito: in quale forma bisogna amare?

Se lo chiedeva Zeus guardando giù il mondo, re degli dèi e degli uomini, dio dominatore eppure miserabile nella sue debolezze erotiche, incestuoso, pedofilo, egoista, indifferente, mostruoso, ridicolo. Con toni più attenuati, la sua è anche, si fa per dire, la morale di quasi tutte le altre favole, in cui la vittima è più spesso l’esile fanciulla mortale o l’adulta travolta dall’ultima passione innescata dal maschio, un dio onnipotente o un eroe conquistatore.

Che altro è Persefone stessa, figlia di Zeus e di Rea, che gioca con le compagne sulle rive del lago di Enna e viene rapita dal dio degli Inferi, precipitando in quel buio lamentoso? Anche Dafne gioca con le altre ninfe ai quattro cantoni quando Apollo la assale e la fa fuggire, l’insegue, l’afferra e la trasforma in lauro, radicato e immobile per sempre nella terra.

Alte su di loro e su tutte per il loro destino le protagoniste dell’amore tragico, Fedra e Medea, cadute o costrette alla vergogna, all’abiezione, alla menzogna e all’eccidio dei figli.

Eppure la potenza e la bellezza di questi personaggi è tale da creare il rischio di essere troppo affascinanti per il lettore, come riconosceva Racine; di giustificarne l’innocenza perché invasi e posseduti come Didone da un dio di cui ignorano la potenza e i disegni, e incarnando alla perfezione tutte le qualità che Aristotele richiede in un eroe tragico, riuscendo a provocare il terrore e la compassione. Nei racconti e nei ritratti di Mastrocola essi sono avvolti nella tristezza che alla conclusione invade Afrodite stessa, la quale «non pensava che le cose andassero così», e che ha usato le sue vittime per un suo gioco risultato mortale ai giocatori.

Accanto a questi deliri adulti degni di Seneca, non mancano le più lievi fiabe giovanili offerte ai lirici e agli elegiaci, Eco e Narciso, Ero e Leandro, quella dolcissima di Alcesti e quella arguta di Calipso; e Amore e Psiche incastonati da Apuleio nel IV libro delle Metamorfosi con la formula dell’Erant in quadam civitatate rex et regina… ripresa letteralmente da Walter Pater quando inserì la storia in Mario l’Epicureo, e ripresi anche nell’Amore prima di noi: «Un tempo, in una città, vivevano un re e una regina che avevano tre bellissime figlie…».

Nel suo repertorio e nella sua delicatezza Paola Mastrocola preferisce invece sorvolare su quegli aspetti amorosi che sono anche peggio del tragico: il grottesco e il ridicolo, un dio storpio e affumicato, Vulcano, che sposa la dea stessa della Bellezza; l’Eroe dei due Mondi, Eracle, che per conquistare la regina Onfale accetta di filare la lana fra le sue ancelle e depone la pelle del Leone Nemeo vestendosi come loro di pizzi e merletti.

Giunto come una necessità un ventennio dopo Le frecce d’oro, in cui l’Autrice ne aveva già narrati molti in modo più semplice, L’amore prima di noi ha maturato ed esplica anche una visione del mondo in cui gli dèi, soprattutto innamorandosi di noi, si mescolano alle nostre vite come se niente fosse; ed è lo studio e l’illustrazione dei meccanismi luminosi o torbidi con cui ciò avviene e lascia il suo segno. Un tentativo assai più ampio e un modo di «ripopolare di dèi il mondo» per dare un altro senso alle cose (così nella Nota finale) a tanta distanza e diversità di tempi e di sentimenti. Le Muse, inviandoci storie come queste, che sono il nostro inizio, e dunque ormai esili nonostante il carico di perenni significati, «ci aiutano a superare il tempo».

Paola Mastrocola, L’amore prima di noi , Einaudi, Torino, pagg. 318, € 19, 50

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