Patologie

Padri che uccidono i figli come #Medea

Non passa giorno che non arrivino notizie di bambini morti per l’irresponsabilità o la violenza degli adulti. Morti e violenze registrate pigramente come fossero una contabilità sociale, triste e quasi inevitabile

di Paolo Di Stefano (Corriere 31/1/16)

I bambini sono sempre i più fragili. E lo sono sempre più. Bisognerebbe avviare forti campagne pubbliche per la loro difesa, come si fa giustamente, da qualche tempo, per le donne, esposte al femminicidio dei maschi. Non passa giorno che non si diano notizie di bambini morti per l’irresponsabilità o la violenza degli adulti. Morti e violenze registrate pigramente come fossero una contabilità sociale, triste certo, ma quasi inevitabile. I bambini morti in mare sono poco più che numeri nei titoli dei telegiornali (lo si voglia o no, ne siamo ormai assuefatti). Quelli morti ammazzati dai genitori sono l’indicibile di cui si dice in genere con ipocrita compunzione: diventa il prezzo pagato all’instabilità della famiglia e alle nuove psicopatologie domestiche. Il caso del padre di Vaiano (Perugia) che, prima di suicidarsi gettandosi in un pozzo, ha accoltellato i due figli di 13 e 8 anni è «solo» l’ultimo di una serie crescente di figlicidi: ed è già significativa la difficoltà di reperire dati certi che distinguano tra l’infanticidio vero e proprio (vittime i piccoli appena nati) e i più frequenti omicidi subiti da bambini e adolescenti per mano dei genitori «impazziti».

Fatto sta che se il «bambinicidio» si iscrive tradizionalmente, per eredità mitologica (dalla tragedia di Euripide), sotto il nome di Medea che consuma l’assassinio dei propri pargoli per vendicarsi dell’amato, la contemporaneità ha aggiunto al desiderio di «possesso totale» materno quello paterno. La depressione, la frustrazione, il fallimento sentimentale e sociale, in casa e nel lavoro, trovano nei figli il bersaglio più facile anche da parte di quelli che la vulgata non solo giornalistica definisce «mammi»: padri che pretendono di sostituirsi alle madri. E lo fanno nel bene e nel male, con i conflitti, le sofferenze e le ambivalenze emotive che ne conseguono. Un bel libro della psicanalista Marina Valcarenghi uscito qualche anno fa si intitolava Mamma non farmi male. Si concludeva con la figura della madre figlicida. Urge, purtroppo, un nuovo capitolo sul padre.

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