Povero #asino, mansueto e gentile diffamato da mezzo mondo

MIRELLA SERRI, (La Stampa 26/2/17)

Lui è buono, mansueto, gentile, è un lavoratore infaticabile, consuma lo stretto necessario, è fedele e non si stanca. Eppure non gode di buona fama: in tedesco e in russo asino si dice rispettivamente esel e osel, burro in spagnolo, âne in francese. In tutte queste lingue e pure in italiano asino equivale a stupido e ignorante. Già, proprio così, in mezzo mondo (o quasi), quando si tratta di dare dell’impreparato, rozzo e incapace a qualcuno gli diamo del somaro (dal latino medievale) o del ciuco (lo utilizza per primo Michelangelo Buonarroti nelle Rime e viene da ciocco o ciucco o ciulla o sciocco). E, stranamente, l’appellativo viene usato ora più che mai, in un momento storico in cui il ciuco sta scomparendo dalla scena, proprio come epiteto ingiurioso. Questo quadrupede adesso è solo il due per cento dell’intera popolazione mondiale di animali allevati nel pianeta e la sua presenza è concentrata in Africa, America Latina e Asia.

La fatica denigrata

È veramente sorprendente che la sua notorietà negativa duri ancora. Perché dunque apostrofiamo come ciuchi o somari gli individui che vogliamo offendere? E quale valore simbolico pertiene nel mondo moderno a questa maltrattata bestia? A spiegarcelo è il curioso e dotto libro di Roberto Finzi, Asino caro o della denigrazione della fatica (Bompiani). La ricerca per prima cosa ci ricorda che questo animale da soma è sempre stato connotato per secoli da un tratto molto positivo: nelle infinite rappresentazioni della natività, per esempio, quando in compagnia del bue l’asino scalda il bambinello appena nato, oppure quando trotta con la Madonna e il figliolino in groppa per sfuggire alla persecuzione di Erode, come lo ritrae Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova.

Anche nel Vecchio Testamento il ciuco è molto ben visto: Abdon, l’undicesimo dei Giudici biblici, ebbe 40 figli e 70 asinelli, segno di gran prosperità. E in letteratura viene rappresentato come un animale da non sottovalutare, come fa #Apuleio nelle Metamorfosi (o L’asino d’oro) riprendendo #Luciano di Samosata, e pure i fratelli Grimm e Perrault. Nel Don Chisciotte, poi, il ciuco è assai utile e molto amato dal Cavaliere e dal suo scudiero Sancho Panza. In ogni caso il quadrupede rappresenta il mondo dei più poveri e un modo di vivere sobrio e frugale: Francesco d’Assisi, quando decide di disfarsi degli agi, elimina il cavallo segno di ricchezza e di distinzione e parte a dorso di un somaro.

Però l’asinello fin dai tempi più remoti è anche portatore di un’altra complessa e opposta simbologia che ha le sue radici nell’antico Egitto ed è collegata ai miti di Iside e Osiride: è una divinità malvagia. Gli appartiene un «simbolismo satanico», diceva René Guénon, ed è sinonimo di lussuria fin dalle novelle del Sacchetti, per trasmigrare con questa valenza nelle opere di Voltaire e di Shakespeare. Alla bestia viene attribuita una notevole capacità erotica: una convinzione che, come scrive lo storico Franco Cardini, è originata dalle dimensioni del suo organo sessuale.

L’ora del riscatto

Così eccolo in prima fila nelle orge dionisiache con Priapo, anche lui connotato da giganteschi genitali. Emblema di violenza sadomaso, questo suo ruolo viene esaltato nelle 120 giornate di Sodoma di Sade, dove il protagonista è costretto a farsi sodomizzare da un asino e ad avere rapporti con un’asinella mentre una prostituta si dedica a un altro ciuco. È anche l’immagine della colpa, e nei secoli è diffusa «la pena dell’asino», con il fedifrago portato a spasso su un asino con il volto girato verso le terga dell’animale. Incarna così un universo che si abbandona ai peggiori e incontrollati istinti. Come spiegano il novelliere trecentesco Gentile Sermini da Siena e Paolo Certaldo, mercante e scrittore, il ciuco è sinonimo di villico, di contadino che, come i suoi animali, è incolto, ottuso e bestiale.

Una valenza che arriva fino all’Ottocento e ai nostri giorni con il burattino Pinocchio che, non avendo voglia di andare a scuola e di emanciparsi dalla sua condizione, viene trasformato in un essere che raglia. L’asino è la bestia, spiega Finzi, che rappresenta il disprezzo sociale. È l’emblema di chi è povero, appartiene alle classi meno abbienti ed è anche un selvaggio, una testa dura e poco ragionevole. Magari con idee pericolose e sovversive, poiché, come diceva lo scrittore ottocentesco Francesco Domenico Guerrazzi: «Come il popolo è l’asino: utile, paziente e bastonato». Insomma il somaro rappresenta anche oggi il lato oscuro del mondo in cui viviamo, è l’incivile e il selvaggio, il miserabile, il migrante, l’ignorante e il clochard. È la summa di tutto quello che ci fa paura e orrore e che disprezziamo. E allora il grido dello studioso è quello del riscatto e dunque: «Riabilitiamolo!».

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