#Bestiari medievali di Giorgio Ieranò ( Tuttolibri 20/10/18)

Come si cattura un Unicorno? C’è un solo sistema. Bisogna mettere una fanciulla vergine in una radura in mezzo al bosco. L’Unicorno è attratto dall’odore della verginità: uscirà dal folto della foresta per poggiare il suo capo sulle ginocchia della ragazza e addormentarsi. A quel punto lo si potrà imprigionare. Attenzione, però: la fanciulla deve essere veramente vergine. Se ha già conosciuto l’amore di un uomo, l’Unicorno, belva fiera e brutale, se ne accorge e infilza la poveretta col suo unico corno. Di questo genere sono le storie che compongono i Bestiari medievali. Sono storie che hanno le loro radici nella letteratura fantastica pagana (dell’Unicorno, per esempio, parlava già Ctesia, medico greco fatto prigioniero dai persiani nel V secolo a. C., descrivendolo come una specie di asino selvatico con la testa blu, gli occhi rossi e un unico corno a torciglione). Storie in cui si mescolano animali fantastici e animali reali, cervi e sirene, pantere e manticore, maiali e formicoleoni (strani esseri con le zampe anteriori di un leone e quelle posteriori di una formica). Ma che non vengono narrate per puro diletto o per semplice amore della stravaganza. Gli animali dei Bestiari sono l’alfabeto di un discorso che allude ai misteri ultimi della religione cristiana. Sono emblemi di una riflessione teologica e morale. Così, per esempio, l’Unicorno è quasi sempre identificato con Gesù Cristo, la vergine nel cui grembo si appoggia è Maria, e l’unico corno simboleggia l’unità del Padre e del Figlio in una sola persona.Davvero un universo affascinante e imprevedibile quello dei Bestiari, un genere che si afferma negli ultimi secoli dell’impero romano e sarà poi popolarissimo per tutto il Medioevo. Chi volesse esplorarlo ha oggi a disposizione le quasi 2500 pagine di un volume curato da Francesco Zambon: Bestiari tardoantichi e medievali, un monumentale compendio che raccoglie, come recita il sottotitolo, «i testi fondamentali della zoologia sacra cristiana», tutti presentati nella lingua originale, tradotti, prefati e annotati. Si va dall’opera fondatrice del genere, il Physiologus, scritto nel II secolo d. C. da un greco di Alessandria d’Egitto, fino alle pagine dedicate agli animali, un millennio più tardi, dal fiorentino Brunetto Latini, maestro di Dante. Nei Bestiari c’è tutto l’universo fantastico e il pensiero simbolico di oltre mille anni di cristianità. Eppure il tema non sempre ha avuto l’attenzione che meritava: un grande specialista della materia, Michel Pastoureau, raccontava, nei suoi Bestiari del Medioevo (Einaudi 2012), che ancora intorno al 1970 nessun professore voleva dargli una tesi di laurea sugli animali del Medioevo, argomento ritenuto futile e marginale. La ragionatissima antologia di Zambon dimostra che, nella loro stravaganza, i Bestiari non sono affatto futili. Giovanni Scoto, nel IX secolo, sottolineava anzi che gli animali potevano, assai meglio della figura umana, rappresentare la natura più nascosta e misteriosa del divino. Ogni animale ha il suo ruolo nella visione cristiana dell’universo: il leone, re della natura, simboleggia Cristo, che è anche, scrive Scoto, «mistica pantera». Viceversa, il lupo, l’orso e il cinghiale sono bestie demoniache, incarnazioni di Satana, cosi come lo è il drago. Viscida e orrenda è la iena, che può cambiare sesso a suo piacimento, essendo un giorno maschio e l’altro femmina. Ma il più divertito e divertente di tutti i bestiari, quello dove la fantasia si sbriglia con meno preoccupazioni teologiche, correndo tra i cinocefali (gli uomini con la testa di cane) e gli sciapodi (bizzarre creature che si fanno ombra col loro unico piede), è forse il Libro dei mostri (Liber Monstrorum) attribuito ad Aldelmo di Malmesbury (640-709). È qui che troviamo per la prima volta l’immagine delle Sirene come creature femminili con la coda di pesce (nell’antica Grecia erano invece donne con le zampe d’uccello). I Bestiari attingono alle fantasie pagane creando un nuovo immaginario che ispira le immagini delle cattedrali romaniche e alimenta le credenze popolari (come quella che l’elefante abbia paura dei topolini). Il loro fascino, in fondo, non si è mai offuscato, come testimoniano il Bestiario poetico di Guillaume Apollinaire o il Manuale di zoologia fantastica di Jorge Luis Borges. Anche se, come scriveva già Aldelmo di Malmesbury, l’unicorno e le sirene non si incontrano più così facilmente: «Ora che gli uomini, enormemente moltiplicatisi, hanno popolato il mondo intero, è assai diminuito il numero dei mostri che nascono sotto il sole. Essi sono stati definitivamente sradicati da ogni nascondiglio in tutto il pianeta e sconfitti: ormai strappati via dalle spiagge s’aggrovigliano, prostrati, nello spumeggiare delle onde e nelle aspre estremità polari».

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