I #papiri in frantumi che leggeremo grazie ai raggi X

I testi della biblioteca di #Ercolano, semidistrutti dal Vesuvio, “aperti” dal Cnr senza essere srotolati

di Silvia Bencivelli (Repubblica 22/1/15)

DUEMILA anni rinchiusi in un papiro carbonizzato. Poi le parole degli antichi epicurei campani sono tornate a farsi leggere, grazie al lavoro certosino dei ricercatori dell’Istituto per la microelettronica e microsistemi del Cnr di Napoli. Che, per la prima volta, sono riusciti a penetrare nei segreti dei cosiddetti “papiri di Ercolano”, provenienti dall’unica biblioteca sopravvissuta dall’epoca classica, ma carbonizzati durante l’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo. E dunque, fino a oggi, quasi completamente illeggibili.

I papiri di Ercolano erano stati ricoperti dalla cenere e dai gas incandescenti del vulcano. Oggi appaiono schiacciati, bruciati, distorti, ma conservano al loro interno gli insegnamenti dei filosofi e degli studenti della Villa dei Papiri: la ricchissima biblioteca fondata da Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, suocero di Giulio Cesare e seguace della filosofia epicurea. Dalla loro scoperta, nella metà del Settecento, a oggi, molti studiosi avevano provato ad aprirli, ma tutti li hanno inevitabilmente danneggiati, a volte finendo per frammentarli completamente e distruggerli. La sfida dei ricercatori è così diventata quella di riuscire a leggerli senza srotolarli. E l’idea che ha permesso di vincerla è stata quella di usare, per la prima volta in archeologia, una tecnica simile a una Tac medica: la tomografia a raggi X a contrasto di fase, resa disponibile all’Esrf (European Synchrotron Radiation Facility) di Grenoble, in Francia.

«La tecnica» spiega il fisico dell’Imm Vito Mocella, ideatore della ricerca, «permette di cogliere il lievissimo rilievo sulla carta dato dall’inchiostro, lettera per lettera e poi foglio per foglio. In questo modo, si può svelarne il contenuto da fuori, lasciando il rotolo del tutto intatto. La vera difficoltà è stata poi analizzare i dati, perché le superfici interne dei papiri sono contorte. Abbiamo rinunciato agli algoritmi e proceduto a mano». In precedenza, tecniche ottocentesche che oggi fanno rabbrividire gli esperti di conservazione prevedevano l’apertura forzata delle pagine e la raschiatura strato per strato, man mano che se ne ricopiava da un’altra parte il contenuto. Nei decenni scorsi, si erano trovati metodi solo poco meno distruttivi, che permettevano di sciogliere la carta carbonizzata, di “smontare” il papiro e poi ricomporne i resti come in una specie di puzzle.

In più, i papiri hanno avuto una storia avventurosa e non del tutto chiara che ha rischiato di farceli perdere del tutto: alla loro scoperta erano quasi duemila, poi alcuni sono finiti in Francia e in Inghilterra, dono di Ferdinando IV di Borbone a Napoleone e al re inglese Giorgio IV. Altri sono probabilmente andati persi. E oggi al Museo archeologico di Napoli se ne contano circa seicento di cui quattrocentocinquanta ancora da aprire. Dentro, spiegano storici e scienziati, potrebbero esserci opere del pensiero epicureo di inestimabile valore, inedite e mai trascritte. Come il papiro che è stato letto per primo e che, dallo stile della scrittura, sembra poter essere attribuito al filosofo epicureo Filodemo, attivo a Ercolano nel secondo quarto del primo secolo avanti Cristo, e alla mano del suo scriba.

Ma soprattutto, oltre a farci leggere le parole di Filodemo, la tecnica a raggi X cambierà l’archeologia, come in questa occasione ha già dimostrato di poter fare, permettendoci l’accesso a parole sigillate nelle pagine del passato, quelle delicate dei testi arrivati a noi dopo millenni di avventure. Ed è proprio l’idea, dice Mocella, che «oltre alle parole questa volta sono venuti alla luce anche i pensieri, a commuovermi di più».

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