#Sallustio, un classico di #LaPenna anti-separatismi

Letteratura latina. La riedizione, da Bruno Mondadori, del saggio «Sallustio e la ‘rivoluzione’ romana», che uscì nel ’68: un modello di interazione tra #storiografia, #filologia e #analisi #stilistica che andrebbe imitato (ALIAS DOMENICA 22/4/18), di Maria Jennifer Falcone

Firenze, dicembre 1966. Poco più che quarantenne e studioso già affermato, Antonio La Penna licenzia per la stampa uno dei suoi lavori più significativi: Sallustio e la ‘rivoluzione’ romana. La città è ancora sconvolta dall’alluvione di novembre. La Biblioteca Nazionale Centrale ha subito danni irreparabili e i volumi salvati dagli ‘angeli del fango’ non sono ancora accessibili: non è possibile studiare o fare ricerca. Tuttavia, rinunciando agli ultimi ritocchi e all’aggiornamento bibliografico, La Penna decide di pubblicare comunque l’opera proprio in quel momento difficile, per dare una concreta testimonianza della sua gratitudine verso la città vivace e stimolante in cui «la sorte lo ha portato ed a cui l’amore lo ha legato».

Il libro, poi uscito per Feltrinelli nel ’68, contiene quattro capitoli su Sallustio storico (articoli già pubblicati a partire dal ’58 e rivisti per il volume): Il significato dei proemi sallustiani; L’interpretazione sallustiana della congiura di Catilina; L’interpretazione sallustiana della guerra contro Giugurta; Le Historiae di Sallustio e l’interpretazione della crisi repubblicana. Seguono due sezioni inedite su Sallustio scrittore (Composizione e narrazione; Lo stilista) e cinque appendici sulla sua fortuna in Leonardo Bruni, Voltaire, Mérimée, Alfieri e sul tema della congiura nella storiografia moderna. Aggiunta, questa, che mostra l’ampiezza di interessi dello studioso in un’epoca in cui i Reception studies – come ormai siamo soliti chiamarli – non si erano ancora affermati.

Lacuna critica da colmare

Sallustio e la ‘rivoluzione’ romana è stato recentemente ripubblicato da Bruno Mondadori (pp. 509, 21,00) e corredato da un’Introduzione alla nuova edizione di Arnaldo Marcone e da una Bibliografia integrativa a cura di Rodolfo Funari. In collaborazione con quest’ultimo, La Penna sta lavorando al commento delle Historiae (il primo volume, relativo ai frammenti 1.1-146, è uscito in Germania per de Gruyter nel 2015), colmando così una lacuna critica e offrendo un contributo la cui importanza egli stesso aveva sottolineato nella prima edizione del saggio nel ’68: «…ma il sapore dello stile si darebbe meglio con un commento, che facesse vedere le tendenze operanti, intrecciate, fuse nell’organismo vivo».

Oltre che a comprendere Sallustio, rileggere queste pagine aiuta soprattutto a riconoscere l’importanza di La Penna per lo sviluppo degli studi di filologia e storia romana dagli anni sessanta sino ai giorni nostri. In tutti i suoi lavori più fortunati, da Orazio e l’ideologia del Principato (Einaudi 1963) a L’integrazione difficile. Un profilo di Properzio (Einaudi ’77), a Fra teatro, poesia e politica romana (Einaudi ’79), egli fonda l’approccio storico-politico su una fine analisi di lingua e stile; la continua interazione tra questi due piani e il rigore della filologia garantiscono quell’equilibrio che gli è stato riconosciuto nonostante la passione e l’interesse politici (Marcone ricorda opportunamente l’espressione «enlightened Marxism» coniata a tale riguardo da Ernst Badian). Questo tipo di approccio si è rivelato particolarmente importante per Sallustio, inteso fino a quegli anni come un letterato moralista distante dalla lotta politica, studiato quasi solo per il suo valore letterario. Faceva eccezione il Sallust di Ronald Syme (Berkeley-Los Angeles 1964), con cui La Penna intesse un ricco dialogo integrandone e correggendone le posizioni, principalmente in relazione ai rapporti tra Sallustio e Cesare.

Per La Penna Sallustio è un «cesariano moderato» che mira ad allargare il senato per farlo meglio corrispondere alla classe socialmente dominante, e che riconduce l’origine dello «scandalo giugurtino» al contrasto sociale tra ceto equestre e vecchia nobiltà romana. Se nel prologo delle Historiae la crisi morale di Roma è spiegata con la perdita del metus hostilis (la paura, cioè, di un nemico esterno come forza unificatrice della società), ciò non va inteso secondo La Penna come omaggio a una tradizione letteraria, bensì come analisi pessimistica «dell’uomo politico e dello storico, che più acutamente e più razionalisticamente, e perciò con meno illusioni, ficca lo sguardo nel passato della sua città in crisi». Diverse pagine, per esempio, sono dedicate al razionalismo di Sallustio, che si manifesta nella scarsa importanza data a prodigi, profezie, sogni.

Personaggi e discorso diretto

Rigorose e accurate le osservazioni relative al genere letterario e alle fonti, agli aspetti compositivi e narrativi: penso in particolare al tema della caratterizzazione dei personaggi nei discorsi diretti. Ma è soprattutto quando analizza i fatti linguistici che La Penna offre i suoi contributi più interessanti e dà prova di quella sintonia tra lavoro di dettaglio e interpretazione d’insieme che innerva tutti i suoi scritti. Egli paragona lo stile di Sallustio a «un fiume che ribolla, ma tra argini formidabili»: il suo ritmo si spezza «per un vigore di concentrazione che elimina tutto il superfluo» e il suo segreto «è proprio nella fusione piena di energia inquieta e di gravitas». Ne è prova una di quelle pagine che a molti ricordano i banchi del liceo, il ritratto di Catilina (Cat. 5: «L. Catilina, nobili genere natus…»): qui – osserva La Penna – chiasmi, asindeti e frasi nominali esprimono l’opposizione tra le doti eccezionali del personaggio e la sua energica e instancabile perversione morale, con le pennellate violente ma comunque armoniche di un ritratto che mostra «l’unità dell’insieme e la fermezza del polso di chi dipinge».

A cinquant’anni dalla prima pubblicazione del Sallustio – ora felicemente riproposto – non si può fare a meno di osservare, a contrasto, una nociva tendenza alla settorializzazione dei saperi, acuita fra l’altro dalla separazione dei settori disciplinari nell’Università. La conseguenza è che Storia antica, Filologia classica e Letteratura latina interagiscono oggi molto meno di allora. Quella del veterano La Penna, un interprete dell’Antico che ha fatto del rigore filologico e dell’attenta analisi linguistica chiavi indispensabili per riconoscere nei testi i dettagli di una più ampia visione storica, è perciò voce più che mai degna di essere (ancora) attentamente ascoltata.

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