#Sesso e #mitigreci, la# psicanalisi secondo #Fellini

Lo strano rapporto tra #Crono e #Urano, i rifiuti di #Zeus, gli incesti: nel saggio «L’ #Olimpo » il grande regista descrive l’ n#erotismo degli dei. E una #sceneggiatura che non divenne mai film

(Libero, 2/2/17) di PINO FARINOTT

Esce in libreria Federico Fellini L’Olimpo- Il racconto dei Miti (secondo volume edito Sem, pp 164, 17,50 euro). La metto sul classico. Dico subito che trattasi di libro destinato a coloro che non intendono «viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza».

Chiedo scusa dell’enfasi ma ci sono due ragioni. Una sta nell’ offerta culturale, alta, del libro, l’altra in chi dice quelle parole in terzine del canto 26esimo dell’ Inferno di Dante. Che sarebbe Ulisse. Dunque personaggio della mitologia, della cultura e dell’ azione, greche, anche se i miti curati da Rosita Copioli e Gérald Morin sono altri, sono quelli antropologici prima di Omero, ma la differenza è sottile. Dicevo offerta culturale, aggiungo: un unicum. Nel risvolto di copertina si legge: «Fino ad ora inedito, pochissimo conosciuto anche fra gli specialisti, L’Olimpo è il racconto delle passioni erotiche e drammatiche degli Dei olimpici». Io stesso sono fra quegli specialisti «ignari». Eppure conosco bene Fellini: nel 1995, per la De Agostini ,in collaborazione con la Rai, paralleli all’uscita in vhs di tutti i suoi titoli, ho scritto i 22 volumi relativi. E dunque confesso stupore, e ignoranza davvero colpevole, riguardo al trattamento che Fellini scrisse senza mai fare il film. Benvenuto. Rispetto ai target aggiungo: un gran bel deterrente, magari nobile, ai programmi del pomeriggio di uomini e donne, di poste per noi e di famosi nelle isole.

In una sintesi fulminante, ho scritto: «Il cinema di Fellini è dolore, ambiguità, paradiso e inferno onnicomprensivi. È complice, misterioso, ruffiano, blasfemo e religioso, puttanesco e creatore di disagio, eroico e vigliacco, uomo e donna insieme, qualunquista e politico, provinciale e olimpico. Morboso. Grottesco. È iperbole. È sortilegio». Non è improprio dire che tutto questo mondo arriva da quel lontano Paese dei Miti greci, che rilanciavano, sublimavano – erano Dei, no?- i sentimenti umani: l’invidia e il sangue, la violenza, la gelosia, la lotta per il potere, la vendetta, le aberrazioni sessuali dove l’incesto era semplice normalità. E tutto venne inventato allora: il racconto, la poesia, il teatro, persino il cinema. Gli accreditati autori «horror» della nostra epoca sono dilettanti risibili rispetto agli abitanti dell’Olimpo. Ancora, il risvolto racconta: «Urano e il suo sanguinario figlio Crono, Selene immersa nell’incanto argenteo della notte; i Ciclopi, Pan, la fascinosa e perversa Pasifae che genera il minotauro». E poi un richiamo felliniano: «… l’insuperabile Afrodite, suprema Ekberg celeste e marina».

Chi conosce Fellini avrà, in automatico richiamato, per contrappasso, alcune sequenze, memoria del cinema e memoria popolare: l’ermafrodito del Satyricon; Titta che affonda la faccia nelle enormi tette della tabaccaia in Amarcord; il mare di plastica, e niente per nasconderlo, di Amarcord; la danza primitiva della Saraghina in 8 e mezzo; il bambino Federico coccolato nel vascone dalle donne in 8 e mezzo; Casanova che si accoppia con la decrepita nobildonna veneziana. E mille altri mondi. Il trattamento spiega che se non Sopra, Federico Fellini sul set. Il grande regista era anche un esperto sceneggiatore. Alcuni dei suoi script non sono però mai diventati film. A sinistra, il libro edito Sem

tutto, molto gira intorno al sesso. Vale un concetto di un felliniano eccellente, Simenon, che diceva: «Non si può capire tanta parte del cinema di Fellini senza avere del sesso un’idea non ossessiva, ma alta e sovrana». Fellini dichiarava: «Adesso voglio proprio dirlo: mi rimproverano di trattare il sesso nel modo più lazzarone, caricaturale, grottesco. Certo, non riuscirei mai a filmare una situazione erotica se non sfigurandola con l’ironia, smitizzandola con l’eccesso. Mi piacerebbe scrivere un racconto d’amore, non di quelli che sa girare solo Bergman -al chiuso, in penombra, pieni di parole ma che si svolge in un’aia, d’agosto, con la polvere dorata della paglia, i lettoni di ferro, le lenzuola che grattano la pelle, la camicia da notte grande come una tenda, dove dentro ci può stare di tutto».

Grande è la potenza dei Miti, tanto da offrire praticamente tutte le chiavi di lettura. A cominciare da quella della psicanalisi. Una citazione è riferita ai parricidi di Crono e Urano: il contrasto insanabile, che può essere mortale, fra padri e figli. E poi che cos’è il Labirinto se non una potente allegoria dei segreti inestricabili dell’inconscio? Scrive ancora Fellini: «… il feto di Dioniso che viene cucito nella coscia del padre Zeus esprime il rifiuto della donna generatrice, della civiltà matriarcale». Il regista ragiona anche sul linguaggio e sull’ estetica: «La fotografia dovrebbe essere tutta sovra-esposta, “sfondata”, né diurna né notturna, ma di una bianca solarità neutra, o d’una tenebrosità mai sottolineata in chiaroscuri o giochi d’ombre… Molti attori potrebbero essere maschere, grandi pupazzi, sagome astratte. Questo film dovrebbe essere una specie di “ritorno a Méliès”, cioè al cinema della pura animazione fantastica».

Tutto ciò è quella che si dice punta dell’iceberg rispetto ai contenuti di questo straordinario documento. Fellini scrisse le 86 pagine del trattamento nei primi anni ottanta, dopo l’uscita della Città delle donne.

Non c’è dubbio che avrebbe fatto un film alla sua altezza. Troppe le affinità e le curiosità, e l’ispirazione di quell’Olimpo, con tutte quelle indicazioni primordiali perfette per essere rielaborate e trasfigurate dall’attitudine visionaria di Fellini. L’Olimpo è libro di grande portata, da cinque stelle. E promemoria benemerito di quello che è stato non il regista, ma l’artista italiano più importante del novecento.

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