G#abrieleFinaldi, direttore della National #Gallery di Londra

“Così gli #Antichi parlano ancora nel XXI secolo”

intervista di Alain Elkan (La Stampa 31/1/16)

Gabriele Finaldi, com’è essere tornato alla National Gallery di Londra, e stavolta da direttore?

«Un ritorno emozionante, dopo 13 anni. Amo questa istituzione fin dall’infanzia e sono elettrizzato all’idea di trovarmi qui ora».

Perché?

«Innanzitutto per l’eccezionale bellezza e qualità di questa collezione. In secondo luogo per il notevole legame che c’è fra la National Gallery e il pubblico. La gente sa, sente, che questa è la loro Galleria e ciò crea dinamiche interessanti. Infine, la collezione permette ricerche, progetti e mostre affascinanti».

Che differenza c’è con altri musei di Stato come il Prado a Madrid, dove è direttore incaricato delle collezioni e della ricerca, e il Louvre?

«In Francia e in Spagna si parla di musei e gallerie d’arte statali, qui abbiamo la National Gallery. Che appartiene alla nazione. La collezione fu creata nel 1824 per il pubblico, con un atto del Parlamento. Si cominciò con l’acquisizione di una collezione privata e presto arrivarono altre donazioni. Fu deciso di costruire una nuova sede per la galleria in Trafalgar Square, nel cuore della città. Una parte del successo della Galleria è dovuto alla sua collocazione e al fatto che è a ingresso libero. La gente avverte un senso di possesso».

L’ingresso libero fa molto discutere: chi difende questa libertà ?

«Ha il sostegno di tutti i partiti e rientra nel programma del governo».

Quindi è una situazione simile a quella della National Gallery di Washington?

«Simile, ma nel loro caso il governo degli Usa finanzia completamente i costi. Qui siamo finanziati per due terzi. Il resto lo raccogliamo con i biglietti degli allestimenti temporanei, le sponsorizzazioni, il tesseramento e altre attività commerciali».

Quali sono i suoi compiti in questo nuovo lavoro?

«La Galleria ha una tradizione di eccellenza. Il mio compito è far sì che rimanga una straordinaria risorsa pubblica e contribuisca ad alimentare il dibattito sulla nostra identità e sui valori della nostra società. E a garantire uno spazio per svolgere un importante lavoro di ricerca e sviluppare le relazioni internazionali».

Ha intenzione di apportare dei cambiamenti?

«La Galleria è visitata da 6,5 milioni di persone all’anno ed è il terzo museo più visitato in Europa dopo Louvre e British Museum. Questa è una responsabilità straordinaria ed è una sfida: assicurare un’esperienza di alta qualità della grande arte della collezione a un così gran numero di persone. Noi creiamo le condizioni per rendere straordinaria quest’esperienza. C’è una parte della collezione che piace subito, ma spesso i dipinti sono complessi e occorre una mediazione perché queste opere possano parlare a un pubblico contemporaneo. Non abbiamo solo quadri antichi, ma grandi opere d’arte che raccontano l’esperienza umana, la vita e la morte, il conflitto, la famiglia e l’amicizia, il ruolo dell’individuo, la fede e gli ideali. Sotto molti aspetti i problemi che ci troviamo ad affrontare oggi non sono nuovi e i dipinti ci raccontano come sono stati gestiti in passato».

Quanti sono i capolavori?

«Ce ne sono diversi in ogni stanza, ma non abbiamo il peso di un’icona com’è la Gioconda per il Louvre. Abbiamo diverse opere che attirano l’attenzione, il ritratto degli Arnolfini di Van Eyck, il Battesimo di Piero della Francesca, la Venere Rokeby di Velazquez, la Deposizione di Michelangelo e i Girasoli di Van Gogh».

Nel mercato odierno gli antichi maestri sono un po’ fuori moda e quindi meno costosi rispetto ad alcuni artisti contemporanei: è un buon momento per comprare?

«Sì, un Rembrandt costa meno di un Francis Bacon, ma i grandi maestri sono pur sempre costosi e per questo i musei di rado si precipitano ad acquistarli. Tuttavia la Galleria a volte riesce a fare acquisizioni notevoli, come le due “poesie” di Tiziano che appartenevano al duca di Sutherland o il pannello a fondo d’oro di Giovanni da Rimini, di epoca trecentensca, acquisito grazie a un’elargizione di Ronald Lauder, il filantropo e collezionista americano».

Fa parte del suo lavoro trovare sostenitori e benefattori?

«C’è molta gente che non desidera altro che sostenerci in molti modi, svolgendo programmi formativi, comprando dipinti, ristrutturando l’edificio. Sono figure necessarie e aiutano a riflettere il ruolo della società civile nel funzionamento dell’istituzione».

Quali sono i progetti in calendario?

«In primavera abbiamo una mostra su Eugène Delacroix e la sua influenza sull’arte moderna, fino a Matisse e Kandinsky. In estate un allestimento intitolato “Painters’ Paintings” (I dipinti dei pittori): sono dipinti che i pittori hanno raccolto per se stessi. Ci ha ispirato al lascito di Lucian Freud, che ha donato alla Galleria un suo quadro di Corot. La mostra rivisita Freud, Matisse, Degas, Van Dyk nelle vesti di collezionisti. In autunno avremo una mostra intitolata “Beyond Caravaggio”, che illustra la sua stupefacente influenza sulle successive generazioni di artisti, come Ribera, Vouet, Mattia Preti e i cosiddetti “Caravaggisti” olandesi e fiamminghi».

Traduzione di Carla Reschia.

Lascia un commento