I pettegolezzi di Seneca #senecailvecchio #historiae

Aristide Malnati (Libero, 20/5/18)

Il gossip in politica è nato nell’antica Roma. Lingue taglienti e penne velenose di storici e maestri di retorica nell’Urbe capitolina non ebbero pietà nel mettere a nudo debolezze, vizi e abitudini stravaganti dei signori del mondo di allora in una Roma al centro del potere, «dove- per dirla con lo storico Tacito negli Annali – tutto il male dell’Impero convergeva e, se possibile, peggiorava ulteriormente». Una clamorosa scoperta di questi ultimi giorni conferma la capacità degli storici romani di occuparsi del Palazzo e della corte dei miracoli che gli ruotava intorno, rendendo macchiette e personaggi da rotocalco i protagonisti della politica di allora. Un papiro di Ercolano (l’antico centro abitato distrutto insieme a Pompei dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d. C.) è stato recentemente decifrato e attribuito con sicurezza al retore Lucio Anneo Seneca il Vecchio (54 a. C. – 39 d. C.), padre (e maestro a questo punto) di Seneca il giovane, il famosissimo filosofo mentore dell’Imperatore Nerone. Si tratta di 16 frammenti corposi, scritti in lingua latina, che conservano un’opera finora perduta e di cui si conosceva solo il titolo e pochi passi trasmessi in citazioni ad opera di autori successivi. L’opera di Seneca il retore è Historiae ab initio bellorum civilium, Storie (di Roma) a partire dall’inizio delle guerra civili, quelle tra Mario e Silla (inizi I secolo a. C.). RADICAL CHIC Il testo in nostro possesso è una copia di neanche 70 anni successiva all’originale, ritrovata appunto ad Ercolano nel 1738, tra gli oltre 2000 papiri della Villa dei Pisoni, uno scrigno di tesori di letteratura greca e latina: i testi della biblioteca personale del filosofo epicureo del I secolo a. C. Filodemo di Gadara. Fu Filodemo filosofo di gran moda durante il periodo finale della repubblica romana, frequentatore dei circoli progressisti “radical chic”, forti contestatori del pensiero conservatore, difensore della tradizione del “mos maiorum” (la morale tradizionale). Il testo, carbonizzato dalla lava, ma per questo conservato e oggi leggibile grazie ai raggi infrarossi, è stato catalogato col numero di inventario 1067 e attribuito recentemente, in maniera definitiva, a Seneca il retore grazie all’acribia investigativa (il papirologo è un po’ come un detective) di Valeria Piano, studiosa molisana attiva presso l’Istituto di filologia classica dell’Università di Firenze (ateneo celebre in tutto il mondo per l’Istituto di Papirologia Vitelli, con Piano collabora). La parte conservata, a quanto sembra, contiene passi che riportano fatti (e intrighi) dell’epoca di Cesare e soprattutto del periodo della nascita dell’Impero, focalizzandosi sul Principato di Augusto (27 a. C. – 14 d. C.) e di Tiberio (14-37 d. C.), che verrebbero presentati con un ritratto, a volte verosimile, ma spesso deformato, di vizi e virtù, e come “Principes” comunque dotati di un alto senso dello Stato, capaci di far rivivere i fasti di Roma antica. PROPAGANDA A quanto sembra Seneca il Vecchio si inserisce nel novero degli scrittori, storici, retori e poeti, che, riuniti e istruiti da Mecenate, sorta di Ministro della cultura e della propaganda voluto da Augusto, ebbero il compito di diffondere l’idea che il primo Imperatore con la sua azione politica aveva rinverdito la potenza di Roma e l’aveva posta alla testa del mondo di allora. Nel far questo Seneca usa tutti gli artifici della retorica, di cui era conoscitore sopraffino, ma non si trattiene dal dipingere quadretti deformati della vita di Palazzo, potenti affreschi di miseria e nobiltà dei Signori di Roma, che avrebbero costituito il modello per la satira graffiante di Giovenale o per gli epigrammi irriverenti di Marziale, 100 anni dopo. Il papiro poi riserva altre sorprese: conferma che la prefazione dell’opera conservata è di Seneca il Giovane e probabilmente, stando alle prime indiscrezioni, ne riporta una parte. Abbiamo così la certezza che il filosofo-precettore di Nerone (prima di cadere in disgrazia, eliminato dallo stesso Imperatore) è stato l’editore del padre; e che probabilmente la sua retorica secca, molto meno ampollosa di quella ciceroniana di Seneca il Vecchio, l’ha elaborata in antitesi allo stile del padre retore, un modello ormai da superare e a cui far subentrare la “brevitas” stilistica, fondata sullo slogan assertivo (molto più efficace, un po’ come oggi Tweet) più che sulla ridondanza. Una fonte però, quella paterna, da cui Seneca il filosofo ha tratto la “vis polemica” e l’irriverente ironia, armi formidabili per stigmatizzare le brutture immorali di chi esercita il potere. riproduzione riservata

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