Il #diritto nello specchio di #Sofocle

#Edipo e #Antigone: dilemmi della #giustizia ancora attuali nei capolavori dell’autore greco

Confronti Marta Cartabia e Luciano Violante si misurano su questioni di grande respiro come la dialettica tra governo dello Stato e libertà individuali (il Mulino)

di Sabino Cassese (Corriere 19.5.18)

In tre tragedie di Sofocle (Edipo re, Edipo a Colono, Antigone, nell’ordine degli eventi narrati) sono intessuti i maggiori problemi giuridici del mondo antico e di quello moderno: tensione tra legge eterna o divina e legge positiva, transitoria; opposizione della legge al diritto; conflitto tra legge non scritta e legge scritta; rapporto tra morale e legge; dialettica tra governo della polis e diritti individuali; equilibrio tra responsabilità e colpevolezza; limite dell’accertamento giudiziale della verità. Questi problemi, dal V secolo avanti Cristo sono giunti ai nostri giorni attraverso migliaia di reinterpretazioni, analisi, reinvenzioni, tra cui fondamentali quelle del periodo illuministico, quando, nel 1773, Diderot si chiedeva se vi fossero leggi per il saggio, perché, essendo tutte soggette ad eccezioni, spetta a lui giudicare in quali casi sottomettersi ad esse, e giungendo alla conclusione che «non mi dispiacerebbe che vi fossero uno o due cittadini che la pensassero così, ma non vivrei in una città in cui tutti volessero mettersi al di sopra delle leggi» (Colloquio d’un padre con i suoi figli, o del pericolo di mettersi al di sopra delle leggi) o, solo tre anni più tardi, la Dichiarazione di indipendenza americana disponeva che tutti gli uomini sono dotati di diritti inalienabili, quali la vita, la libertà e la ricerca della felicità, e prevedeva che i governi fossero costituiti per assicurare tali diritti, consentendo poi al popolo di modificare o rovesciare i governi che non li garantissero.

Due dei maggiori giuristi italiani, il cui ruolo anche nello spazio pubblico è ben noto, Marta Cartabia e Luciano Violante, si sono uniti per discutere questi problemi alla luce di due delle tre tragedie sofoclee nel libro Giustizia e mito (il Mulino), sapientemente costruito come un mosaico: una breve introduzione scritta a quattro mani, due saggi, dedicati a Edipo (di Cartabia) e ad Antigone (di Violante) e una conversazione, innescata da intelligenti domande di due giovani ricercatori.

La vicenda è nota. Edipo inconsapevolmente uccide il padre Laio e sposa la madre Giocasta, dalla quale ha quattro figli. Scoperte le sue colpe, si acceca e autoesilia. Va in giro come un mendicante, aiutato da sua figlia Antigone, fino alla morte. I due suoi figli si uccidono a vicenda, ma Creonte dispone che il corpo di uno dei due, colpevole di aver voluto prendere il posto dell’altro, rimanga insepolto. La sorella Antigone dando sepoltura al fratello, viola questo comando di Creonte, che la condanna, provocando così anche il suicidio del suo proprio figlio, che voleva sposare Antigone. In primo piano vi sono le orrende colpe di Edipo, sullo sfondo l’assenza del limite al potere (sia Edipo, sia Creonte peccano di hybris) e la concentrazione di potere nelle mani di entrambi (sono legislatori, inquisitori, giudici).

Nelle loro sapienti reinterpretazioni di questa antica storia, Cartabia e Violante mettono l’accento su aspetti diversi. La prima esalta il diritto ragionevole, la giustizia prudente, anche se imperfetta, il senso del limite, ragionevolezza e proporzionalità, il contraddittorio (Antigone: «non chiuderti nella convinzione incondivisa»; «concediti di cambiare idea»). Violante sottolinea che Creonte è il portatore del diritto nuovo, che fa funzionare la polis, mentre Antigone è testimone del passato, del diritto immutabile, e quindi contesta la legge degli uomini in nome del diritto degli dèi. Ma poi ricorda che vi sono valori morali superiori alla legge positiva e meccanismi moderni per regolare i conflitti (obiezione di coscienza, giustizia costituzionale, negoziazione e trattativa con i dissenzienti).

Per un verso, i problemi di ieri sono problemi di oggi. Ad esempio, se non vi fosse un diritto più alto, Norimberga non sarebbe stata possibile (un aspetto dimenticato dai critici della globalizzazione). D’altra parte, se le leggi dello Stato non venissero rispettate, le società sarebbero un campo di conflitti. Per altro verso, i nostri problemi d’oggi sono diversi. Era l’oracolo di Delfi che aveva predetto a Laio che il figlio l’avrebbe ucciso, così come più tardi avrebbe predetto a Edipo che avrebbe ucciso il padre e sposato la madre. Prima Laio e poi Edipo, proprio perché avvertiti dal vaticinio, per evitarlo metteranno in opera una serie di azioni che lo realizzeranno. A noi Seneca, in un passo delle Epistulae morales ad Lucilium (libro XVI, 98), molto amato dal grande maestro della modernità Montaigne, ha insegnato che calamitosus est animus futuri anxius. Abbiamo imparato ad aver meno paura degli «eventi della sorte, senza alcuna chiara conoscenza del futuro», come dice ad un certo punto dell’Edipo re, Giocasta. Interroghiamo quindi meno gli oracoli.

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